Demenza” è un termine ombrello che indica una costellazione sintomatologica che, a seconda della patologia cerebrale sottostante, causa differenti difficoltà del funzionamento cognitivo e funzionale. Le demenze si presentano soprattutto nella popolazione anziana, cioè coloro più di 65 anni di età. In Italia gli anziani sono in costante aumento e recenti dati Istat (http://demo.istat.it/pop2015/index.html, consultato il 22 febbraio 2019) attestano il loro numero a 13.219.074, che rappresenta il 21,7% della popolazione, contro il 18% rilevato nel 2002 (Solfrizzi et al., 2002). È ormai un dato assodato per la letteratura scientifica che l’invecchiamento costituisce il più importante fattore di rischio per lo sviluppo di una tra le tante forme di demenza (Solfrizzi et al., 2002; Kivipelto et al., 2006), che coinvolgono circa l’8% degli ultra sessantacinquenni (Istituto Superiore di Sanità, 2014).  Tali dati, uniti al carattere degenerativo di questo gruppo di patologie, rendono di fondamentale importanza la conoscenza delle manifestazioni di tale fenomeno, insieme alle possibilità di prevenzione, diagnosi e cura.

 

 

Cosa sono le demenze?

Con il termine demenza si intende una sindrome, progressiva e irreversibile, caratterizzata da perdita acquisita delle funzioni cognitive, delle competenze sociali e da modificazioni del comportamento. È possibile diagnosticare una forma di demenza quando si rilevano sintomi cognitivi e comportamentali, in almeno due domini, tali da interferire con il funzionamento quotidiano dell’individuo e che rappresentano un declino rispetto alle capacità precedenti della persona (McKhann et al., 2011). Tale diagnosi si ottiene attraverso una valutazione neuropsicologica, che consiste, unitamente al colloquio anamnestico, nella somministrazione di una batteria di test che misurano le varie abilità cognitive quali memoria, attenzione, linguaggio, ecc. e che vengono corretti dallo specialista a seconda dell’età e scolarità dell’individuo. Esistono varie forme di patologia dementigena, tra cui la Malattia di Alzheimer, la Demenza Vascolare, la Demenza Fronto-temporale, la Demenza ai Corpi di Lewy. È possibile ottenere una diagnosi differenziale tra esse attraverso un’attenta valutazione delle abilità cognitive coinvolte e mediante l’esecuzione di esami neuroradiologici quali TAC e RMN (risonanza magnetica), delle aree cerebrali compromesse.

 

Quali sono le cause e come prevenire la demenza?

La causa delle patologie neurodegenerative risiede in molteplici interazioni tra fattori genetici e ambientali, caratterizzandole come patologie multifattoriali. La comunità scientifica, negli ultimi decenni, è impegnata nello studio dei fattori di rischio, ossia delle condizioni che, se presenti in un individuo nel corso della vita, possono aumentare la probabilità che la malattia si presenti. In particolare, il World Alzheimer Report del 2014 (Prince, 2014), descrive 4 categorie di fattori di rischio, che comprendono i fattori legati allo sviluppo, quali eventi che occorrono nei primi anni di vita, crescita, educazione, occupazione; i fattori psicologici, come ansia, depressione, distress psicologico (eventi di vita o fattori di personalità); lo stile di vita, come uso di alcol, fumo, dieta, attività fisica e cognitiva; e le condizioni cardiovascolari (ipertensione, diabete, colesterolo, obesità). Ulteriore passo avanti nella comprensione del ruolo giocato dallo stile di vita nello sviluppo delle demenze è stato fatto dalla Commissione Lancet (Livingstone et al., 2017), che nel 2017 ha pubblicato un importante studio in cui si attesta che ben il 35% dei fattori di rischio per le demenze è modificabile, cioè attraverso l’attuazione di uno stile di vita sano si può diminuire enormemente il rischio di sviluppare demenza. Oltre ai fattori sopracitati, da questo studio emerge come la deprivazione uditiva già a partire dalla mezza età predica ben il 9% della probabilità di sviluppare in futuro decadimento cognitivo (per approfondire il rapporto tra udito e mente, leggi il nostro articolo qui).

Nonostante tali fattori siano in vario modo interconnessi tra di loro e non si possa affermare che essi siano la causa delle malattie neurodegenerative, è ormai opinione diffusa che l’attuazione, già in età adulta, di uno stile di vita sano e attivo possa configurarsi come un importante fattore protettivo per lo sviluppo futuro di queste patologie.

In particolare, l’esercizio fisico costante, la prevenzione dei fattori di rischio cardiovascolari, il mantenimento di un buon udito e il coinvolgimento in attività piacevoli e cognitivamente sfidanti (come ad esempio la stimolazione cognitiva di gruppo) sembra essere la migliore modalità, durante tutto l’arco di vita, per ottimizzare la propria riserva cognitiva e essere maggiormente pronti a contrastare gli effetti negativi dell’invecchiamenti.

Tali aspetti, inoltre, sembrano svolgere un ruolo positivo nel mantenimento della funzionalità fisica e cognitiva sia nelle fasi prodromiche sia in quelle lievi della malattia (DeWeerdt, 2011).

 

Quali trattamenti?

Allo stato della conoscenza scientifica attuale non esistono interventi farmacologici e non farmacologici in grado di guarire dalla demenza. È possibile, però, curare la persona nel senso più generale del termine, al fine di fornire un adeguato livello di qualità di vita e di rallentare il più possibile la progressione dei sintomi (Prince et al., 2011). Il trattamento delle demenze implica, quindi, molteplici obiettivi rivolti sia al paziente sia ai familiari, in quanto nel programmare il processo riabilitativo bisogna tenere in considerazione il carattere degenerativo della malattia, che coinvolge la persona e influisce su chi si prende cura di essa.

Lo scopo primario dell’intervento consiste nella compensazione delle abilità deficitarie attraverso il potenziamento di quelle rimaste intatte. Gli obiettivi dei programmi di intervento concernono, quindi, l’ottimizzazione dello stato funzionale dell’individuo, che comprende il trattamento delle patologie sottostanti, la stimolazione dell’attività fisica e cognitiva e la valutazione dell’ambiente in cui la persona vive al fine di suggerire alcune modifiche, se necessarie, in relazione alle difficoltà del paziente. È molto importante, inoltre, identificare e trattare le complicanze della demenza, programmando un intervento multidisciplinare che coinvolga molteplici figure professionali, quali per esempio medici, psicologi, fisioterapisti. Le possibilità di intervento, inoltre, sono molto diverse a seconda della fase di malattia; nelle fasi iniziali e moderate è possibile avvalersi della stimolazione cognitiva, che consiste in sedute, solitamente a cadenza bisettimanale e della durata di 45-50 minuti, condotte da uno psicologo e volte in primo luogo a rallentare il più possibile il declino cognitivo, ma anche a fornire un supporto emotivo per il paziente. In fasi più avanzate di patologia, invece, è possibile effettuare interventi  maggiormente indirizzati alla sfera comportamentale, come per esempio la Doll Therapy (che consiste nell’utilizzo di un’apposita bambola per favorire sentimenti positivi di accudimento nel paziente), la musicoterapia o la stimolazione multisensoriale in spazi creati ad hoc.

Poiché il assistere una persona malata di demenza è una comprovata fonte di stress emotivo e fisico (Pinquart e Sörensen, 2007), risulta inoltre essenziale prendersi cura dei familiari dei pazienti (caregiver). Essi, infatti, sono maggiormente a rischio di sviluppare sintomi psicologici quali depressione e ansia, malattie fisiche e sintomi dementigeni a loro volta. Una fascia che risente particolarmente degli effetti negativi del prendersi cura di un familaire è costituito dalla cosiddetta “generazione sandwich, ossia quelle persone nella fascia di età tra i 45 e i 60 anni, soprattutto di genere femminile, che si trovano a dover rispondere contemporaneamente ai bisogni dei familiari anziani e dei figli, mantenendo al contempo la propria attività lavorativa.

A tale scopo, è consigliabile per i caregiver rivolgersi ai servizi disponibili sul territorio di riferimento (Centri Specialistici, Associazioni, Servizi Comunali, ecc.), al fine di ottenere indicazioni sulle possibilità di trattamento per il paziente e supporto psicologico per se stesso. Tale supporto può consistere in interventi psicologici individuali, in gruppi di auto-mutuo-aiuto o in interventi psico-educativi per conoscere al meglio la malattia del proprio caro e come contrastarla.

 

Conclusioni

Anche se, come sopra evidenziato, l’invecchiamento si configura come uno dei principali fattori di rischio delle demenze, la perdita delle abilità cognitive non costituisce la normalità con l’avanzare dell’età. La promozione di uno stile di vita attivo sia dal punto di vista cognitivo che fisico, infatti, può intervenire come fattore di protezione nello sviluppo delle patologie neurodegenerative.

Alla luce di quanto descritto, per migliorare il più possibile le condizioni delle persone che soffrono di patologie neurodegenerative e dei loro familiari, appare essenziale favorire capillarmente la conoscenza di questi disturbi tra la popolazione, al fine di diagnosticarle il più precocemente possibile e di conseguenza promuovere il trattamento già dalle prime fasi della malattia.

 

 

Bibliografia

DeWeerdt, S. (2011). Prevention: activity is the best medicine. Nature475(7355), S16-S17.

Istituto Superiore di Sanità in Epidemiologia delle demenze, 13 febbraio 2014: http://www.iss.it/demenze/index.php?lang=1&anno=2016&tipo=17

Kivipelto, M., Ngandu, T., Laatikainen, T., Winblad, B., Soininen, H., & Tuomilehto, J. (2006). Risk score for the prediction of dementia risk in 20 years among middle aged people: a longitudinal, population-based study. The Lancet Neurology, 5(9), 735-741.

McKhann, G. M., Knopman, D. S., Chertkow, H., Hyman, B. T., Jack, C. R., Kawas, C. H., … & Mohs, R. C. (2011). The diagnosis of dementia due to Alzheimer’s disease: Recommendations from the National Institute on Aging-Alzheimer’s Association workgroups on diagnostic guidelines for Alzheimer’s disease. Alzheimer’s & dementia7(3), 263-269.

Pinquart, M., & Sörensen, S. (2007). Correlates of physical health of informal caregivers: a meta-analysis. The Journals of Gerontology Series B: Psychological Sciences and Social Sciences, 62(2), P126-P137.

Prince, M. J. (2014). World Alzheimer Report 2014: dementia and risk reduction: an analysis of protective and modifiable factors. Alzheimer’s Disease International.

Prince, M., Bryce, R., & Ferri, C. (2011). World Alzheimer Report 2011: The benefits of early diagnosis and intervention. Alzheimer’s Disease International.

Solfrizzi, V., Panza, F., Colacicco, A. M., Capurso, C., D’Introno, A., Torres, F., Baldassarre, G., Capurso, A. (2002). Relation of lipoprotein (a) as coronary risk factor to type 2 diabetes mellitus and low-density lipoprotein cholesterol in patients≥ 65 years of age (The Italian Longitudinal Study on Aging). The American journal of cardiology, 89(7), 825-829.

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