L’attenzione è una delle abilità cognitive di base, senza la quale faremmo fatica a portare a termine anche le attività più semplici della vita quotidiana. Abbiamo sostanzialmente due canali attraverso cui prestare attenzione: gli occhi e le orecchie. L’attenzione filtra quello che vediamo e che sentiamo lasciando passare le informazioni rilevanti e ignorando quelle al momento inutili.

Le componenti dell’attenzione

 

L’attenzione può essere scomposta in diverse componenti:

  • attenzione divisa: entra in gioco quando stai facendo due cose contemporaneamente, come parlare mentre stai guidando
  • attenzione selettiva: è la capacità di selezionare, tra tante, le informazioni rilevanti tralasciando le altre. Se siete in un ambiente affollato e rumoroso ma state chiacchierando con qualcuno riuscite a concentrarvi solo su quello ignorando quello che viene detto dagli altri!
  • attenzione sostenuta: prestare attenzione a un’unica fonte di informazioni è una capacità fondamentale se stiamo seguendo una lezione a scuola!

 

Lo sviluppo dell’attenzione

 

L’adolescenza rappresenta un periodo di vita caratterizzato da profondi cambiamenti non solo a livello comportamentale, ma anche a livello cognitivo tanto che portano i ragazzi a raggiungere le modalità di pensiero, ragionamento e azione simili a quelle degli adulti.

In questo periodo della vita raggiunge, infatti, la completa maturazione un’area corticale particolare: la corteccia prefrontale. Si tratta del correlato neurale di diverse funzioni esecutive tra cui l’attenzione. Tali funzioni maturano lentamente durante l’infanzia e l’adolescenza e raggiungono livelli prestazionali analoghi a quelli adulti ad età diverse.

Verso i 14-15 anni alcune funzioni, come la capacità di inibire le risposte non pertinenti, hanno raggiunto la piena maturità funzionale, mentre altre come la capacità di pianificare vanno incontro ad ulteriori modificazioni fino alla giovane età adulta.

A livello comportamentale questa disparità di maturazione tra aree cerebrali e funzioni cognitive può riflettersi nel fatto che l’attivazione emotiva venga scarsamente controllata dalla cognizione. Questo disequilibrio è ritenuta una delle possibili cause dell’aumento della propensione al rischio in adolescenza.

 

L’attenzione sotto stress

 

“Ansia” è un termine comunemente usato per indicare una serie di reazioni fisiologiche, cognitive e comportamentali che si verificano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso.

L’ansia di per sé non è un fenomeno anormale, anzi ci prepara ad affrontare una data situazione aumentando il nostro stato di vigilanza e di attenzione sulle potenziali fonti di pericolo. Ci permette di focalizzare le risorse cognitive sulle azioni necessarie a prevenire, contenere o evitare situazioni potenzialmente spiacevoli o letali.

Se le cose stanno così allora qual è il problema di essere in ansia?

Accanto a quest’ansia fisiologica ne esiste anche una disfunzionale, di cui tutti prima o poi abbiamo fatto esperienza. Uno stato ansioso prolungato e in assenza di un reale pericolo ci mantiene in allerta continua e fa scattare campanelli d’allarme nel sistema attentivo che non è più sotto il nostro controllo volontario e fa fatica ad elaborare le informazioni.

In un certo senso l’ansia monopolizza le risorse cognitive che sono completamente assorbite dai segnali di allerta, la percezione che ne consegue è che il mondo sia pieno di difficoltà e pericoli di cui occuparsi! Stili di vita stressanti e periodi prolungati d’ansia hanno, quindi, un effetto negativo sulle nostre funzioni cognitive e fanno sì che sia molto più facile distrarsi, perdere la concentrazione e commettere errori!

 

Il neglect

 

Il neglect (o negligenza spaziale unilaterale) è stato descritto per la prima volta dal neurologo Russell Brain negli anni ’40 del secolo scorso.

Brain aveva osservato che i pazienti che avevano riportato delle lesioni al lobo parietale inferiore destro a causa di ictus, tumori o traumi avevano delle difficoltà a esplorare la porzione sinistra dello spazio o del loro stesso corpo.

Spesso questi pazienti non mangiano il cibo presente nella parte sinistra del piatto o non si radono la barba nella parte sinistra del viso. Tendono a perdersi nell’ambiente perché ignorano tutto quello che sta alla loro sinistra. La negligenza può riguardare particolari modalità sensoriali o tipi di stimolo, per esempio le parole. I pazienti con dislessia da negligenza non elaborano la parte sinistra della parola non riuscendo più, di conseguenza, a leggere.

È importante notare che non si tratta di deficit sensoriali o motori che riguardano il lato sinistro del corpo e dello spazio, cioè questi pazienti ci vedono e ci sentono benissimo e sono in grado di eseguire delle azioni verso quella parte di spazio. Sembra proprio che il neglect sia dovuto a un’incapacità di orientare attivamente l’attenzione verso lo spazio dal lato opposto a quello della lesione cerebrale.

Queste evidenza cliniche implicano che il lobo parietale destro sia particolarmente implicato nel controllo attentivo; lesioni simili del lobo parietale sinistro, infatti, non causano neglect analogo a destra. La causa più comune di negligenza spaziale unilaterale è l’ictus cerebrale e i deficit di attenzione sono evidenti fin da subito: di solito gli effetti tendono a risolversi in poche settimane o mesi ma nel caso di lesioni estese è importante impostare fin da subito un buon programma riabilitativo per facilitare il recupero!

 

L’ADHD

 

L’ADHD è un disturbo che esordisce durante il periodo dello sviluppo e sarebbe presente nel 5% circa dei bambini e nel 2.5% circa degli adulti. Si caratterizza per la presenza di un quadro di disattenzione e/o iperattività e impulsività che interferiscono con lo sviluppo e il funzionamento.

I bambini fanno estremamente fatica a rimanere concentrati su un compito, mancano di perseverazione, si distraggono con estrema facilità e non riescono ad organizzare il loro lavoro.

L’impulsività si manifesta attraverso comportamenti invadenti o la presa di decisioni importanti senza aver prima riflettuto sulle conseguenze a lungo termine. L’iperattività si riferisce a un’eccessiva attività motoria dei bambini: non riescono a stare fermi, tamburellano, sono particolarmente loquaci in momenti in cui questi comportamenti non sono appropriati.

Queste manifestazioni comportamentali devono presentarsi in più contesti, cioè non basta che i bambini siano irrequieti a scuola o quando si annoiano ma devono mostrare costanza nei sintomi in occasioni diverse.

L’ADHD, oltre a rappresentare un problema per il bambino stesso, costituisce una vera e propria sfida per la famiglia e la scuola. I genitori e gli insegnati spesso sono sono sconfortati e stressati perché impreparati nella gestione di questo tipo di comportamenti. Per questi motivi l’intervento deve sempre essere di tipo multimodale, deve cioè coinvolgere la scuola, la famiglia e il bambino stesso attraverso programmi psicoeducativi e terapeutici ad hoc per le singole situazioni.

 

Disturbo cognitivo lieve: quando il deficit è nell’attenzione

 

Nell’immaginario comune, quando si parla di demenza di pensa alla demenza di tipo Alzheimer dove la perdita della memoria è la preoccupazione maggiore.

In realtà, così come esistono diverse forme di demenza che coinvolgono domini cognitivi diversi, esistono altresì dei quadri clinici di transizione tra il normale invecchiamento e demenza: il decadimento cognitivo lieve (o mild cognitive impairment, MCI). Le persone con MCI hanno delle prestazioni ai test cognitivi più basse di quello che si aspetterebbe in base all’età e alla scolarizzazione, ma non così basse da interferire con le attività quotidiane.

Esiste, quindi, la possibilità che una persona possa cominciare a manifestare, per esempio, solo dei disturbi di natura attentiva in assenza di altri deficit: fa fatica a stare concentrato per tanto tempo, svolgere due compiti contemporaneamente diventa più impegnativo così come dedicarsi a una conversazione se contemporaneamente la tv è accesa.

È importante sottolineare che non tutte le persone a cui viene diagnosticato un MCI andranno incontro allo destino. In alcuni casi, i sintomi si mantengono stabili nel tempo, in altri, il deficit migliora o addirittura può regredire. Per questo è importante rivolgersi in caso di dubbi al proprio medico e sottoporsi a una valutazione neuropsicologica completa.

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