Storicamente il gioco tra gli adulti in varie forme ha permeato e caratterizzato ogni cultura. Gli archeologi hanno rinvenuto dadi primitivi in caverne datate al 3.500 a.C. Lo stesso termine “azzardo” sembra risalire alla parola araba az-zahr, dal significato di dado. Il gioco d’azzardo ha dunque una storia antica quanto l’uomo e normalmente ha una finalità ludico-ricreativa tuttavia per alcune persone può diventare un vero e proprio disturbo psichico e come tale evolvere in una vera e propria dipendenza.
Come viene definito il gioco d’azzardo dall’Organizzazione Mondiale della Sanità?
L’OMS definisce il gioco d’azzardo patologico, (oggi denominato Disturbo da gioco d’azzardo – DGA), come una condizione patologica chiaramente identificabile, che in assenza di misure idonee di informazione e prevenzione può rappresentare, a causa della sua diffusione, un’autentica malattia sociale. In Italia vi sono 1,300.000 ludopati ma solo 12.000 sono in terapia. Nel 2018 il numero delle puntate registrate in Italia ha sfiorato i 107 miliardi (con un aumento del 3% rispetto all’anno precedente).
Come mail il giocatore patologico non smette mai di giocare?
Definire le cause e le motivazioni che spingono il giocatore patologico è quanto mai arduo perché esistono differenti fenotipi di giocatore; vi sono alcuni pazienti che sono veri e proprio cercatori di emozioni definiti “sensation seekers” e la loro propensione è quella di ricercare novità e stimoli eccitanti, altri invece più di stampo compulsivo, vivono con maggiore moderazione l’esperienza del gioco che tuttavia rappresenta per gli stessi il vero centro della loro esistenza.
I risultati di alcuni studi di neuroimaging hanno permesso di evidenziare come i gamblers (giocatori) presentino alterazioni a carico di specifiche aree cerebrali rispetto agli individui sani di controllo. Nei giocatori infatti risultano alterati il sistema della gratificazione e della ricompensa che portano l’individuo a giocare compulsivamente e senza controllo.
Studi sui gamblers rilevano un’alterazione di alcuni circuiti cerebrali. Vediamo più da vicino i circuiti della serotonina e della dopamina:
–la serotonina è un neurotrasmettitore coinvolto in diversi processi motivazionali come la fame, il sonno e la sessualità, che assume una funzione inibitoria nel sistema nervoso centrale. Nei giocatori patologici vi è una sottoregolazione del sistema serotoninergico che comporta una compromissione dei processi di inibizione e gratificazione. L’aspetto complementare alla conseguente disinibizione è quello di un’aumentata spinta motivazionale verso il comportamento d’abuso, denominata craving.
–la dopamina è un neurotrasmettirore centrale anch’esso nei circuiti legati alla motivazione e ricompensa sia fisiologica come la fame, il buon cibo e il sesso che artificiali, mediati dalle sostanze stupefacenti o da un comportamento maladattivo come il gioco d’azzardo nella dimensione patologica. E’ stato rilevato che il gioco d’azzardo sia in grado di stimolare il rilascio della dopamina nel nucleus accumbens. Ripetute esperienze di gioco d’azzardo possono sensibilizzare i neuroni di tale regione facilitandone l’attivazione anche in risposta a stimoli connessi solo in maniera indiretta all’esperienza del gioco, ad esempio la vista di luoghi o di oggetti connessi ad esso.
Quali sono i numeri quando parliamo di minori e di gioco d’azzardo?
In un articolo comparso sul Daily Telegraph emerge come le grandi multinazionali del web cerchino di attrarre l’attenzione dei più piccoli (anche bambini di soli 4 anni) attraverso della applicazioni nelle quali si insinua il gioco d’azzardo. All’inizio tutti i giochi sono gratis ma successivamente più si accumulano punti più viene richiesto un acquisto in denaro.
Le ultime ricerche di Telefono Azzurro ed Eurispes denunciano che l’8% di bambini tra i 6 e gli 11 anni gioca d’azzardo. Numeri ancora più preoccupanti arrivano dall’indagine sulla ludopatia under 18 condotta dall’Osservatorio Nazionale sulla salute dell’infanzia e dell’adolescenza: il 25% dei bambini tra i 7 e i 9 anni ha usato la paghetta per lotterie e gratta-e-vinci. La stima finale è di un milione e 200mila minorenni italiani in balìa del gioco d’azzardo.
Qual è il ruolo degli adulti riguardo questa tematica?
Sembrerebbe che un genitore su tre ignori le abitudini dei propri figli o sottovaluti il fenomeno. Che cosa fare dunque per contrastare l’emergere di questo fenomeno? Il primo passo è agire in ambito preventivo con gli adulti :
– bisogna parlare di ludopatia in modo che tutti capiscano che cosa sia. Il 90% dei genitori infatti non sa che cosa significhi questo termine, eppure a uno su due è capitato che il figlio volesse giocare;
– bisogna descrivere i danni fisici del gioco d’azzardo sui minorenni. Studi neurologici e risonanze magnetiche su soggetti ludopatici hanno dimostrato che la dipendenza dal gioco provoca un cambiamento della corteccia celebrale e diminuisce i freni inibitori rispetto a persone senza dipendenze.
Bisogna dunque in primis aiutare i più grandi affinché diano il buon esempio ai più piccoli e poi è fondamentale educare i bambini alla gestione e al valore del denaro. Inoltre bisogna spiegare loro che sono giochi in cui quasi sempre si perde e stimolarli a passare il tempo in attività ricreative come il gioco sano e lo sport.
Il problema del gioco d’azzardo patologico riguarda anche gli anziani?
Gli studi condotti in questi ultimi anni evidenziano un fenomeno inaspettato: il gioco d’azzardo, nelle sue forme sane e soprattutto patologiche, sarebbe in progressivo aumento tra gli anziani. Quello degli anziani sembra essere uno dei gruppi di giocatori d’azzardo a più rapida crescita in molte parti del mondo.
Ma come mai sono sempre di più gli over 65 che dilapidano la pensione nella speranza di fare fortuna?
L’indagine “Anziani e azzardo” di Auser Nazionale, Gruppo Abele Onlus, Coop Piemonte e Libera rivela che gli over 65, avendo entrate sicure (come la pensione) e avendo tempo a disposizione, sempre più spesso cedano alla giocata. Centrale sembrerebbe essere il tempo. Se il lungo tempo libero non viene in qualche modo impegnato e valorizzato, rischia di essere solo un “tempo vuoto” da trascorrere alla ricerca di piccoli piaceri, magari momentanei ma che per qualche istante, il tempo di giocare ad un gratta e vinci, fanno sentire la persona viva. Ecco dunque come condizioni e fasi particolari della vita quali la vedovanza o il pensionamento o anche la lontananza dai propri affetti conducano all’isolamento e quindi ad uno stato di solitudine che può spingere l’anziano verso la depressione e la messa in atto di comportamenti disadattivi. L’industria del gioco d’azzardo si regge proprio su una particolare domanda di consumo: un consumo di emozioni, eccitazioni, tensione e di tante illusioni. Bisogna pertanto stare attenti a non sottovalutare questo fenomeno negli anziani. Negli over 65 infatti il gioco, avendo meno ripercussioni sulla vita familiare e lavorativa, porta alla sottostima del problema e rende difficile diagnosticare il disturbo.