Nel 2006 ho impostato la mia tesina di maturità sul tema del neofemminismo.

Ho inserito nel mio lavoro la storia del movimento, l’analisi del testo Dalla parte delle bambine, pubblicato nel 1973 da Elena Gianini Belotti, di Una stanza tutta per sé di Virginia Woolf e della figura di Simone De Beauvoir per le lingue inglese e francese.

In fondo, però, a 18 anni ero convinta che al giorno d’oggi, negli anni 2000, noi non dovessimo più scontrarci con questo genere dii problemi. Da tempo ormai ho perso questa illusione, e durante questa quarantena ho iniziato ad approfondire l’argomento degli stereotipi di genere, e di quanto il mondo sia costruito a misura d’uomo.

Negli ultimi 10 giorni, poi, sono girate sui social alcune notizie: la prima, tratta da un articolo del Corriere della Sera, mostra i risultati di un’intervista condotta alla popolazione italiana e danese sul rapporto tra cura dei figli e lavoro.

Ciò che lascia molto perplessi nell’osservare questa immagine è che anche le donne stesse ritengono che la vita lavorativa non sia conciliabile con l’essere una figura materna significativa e che, se è necessario scegliere, è la madre che dovrebbe rimanere a casa ad accudire i figli.

Il colpo finale, però, l’ho avuto leggendo il post di una collega, che mostra i dati annuali circa il reddito degli psicologi, ricavato dalla presentazione del bilancio annuale di ENPAP (Ente Nazionale di Previdenza ed Assistenza per gli Psicologi), che mostra comea fronte dell’84% dei professionisti donne, in media gli uomini guadagnano di più (24.117€ vs 16.826€).

 

Perché accade tutto ciò, se le donne sono mediamente più istruite, rappresentando il 60% dei laureati?

 

Gli stereotipi di genere

 

Gli stereotipi di genere costituiscono fondamentalmente degli ostacoli che l’ambiente pone davanti a una donna nel perseguire la propria affermazione personale.

Essi possono agire conducendo una donna a sperimentare un’incongruenza tra le proprie aspettative e i propri progetti e la cultura in cui è immersa, o peggio ancora, possono essere così radicati da influenzare in modo invisibile la costruzione dei propri progetti e desideri.

In generale, un stereotipo può essere concepito come una scorciatoia di pensiero che, fornendoci dei modelli sul mondo e sugli altri, ci indica cosa aspettarci anche da noi stessi.

Nel caso specifico dello stereotipo di genere, esso costituiscono una “narrazione dominante, un copione che semplifica la realtà e le aspettative che ogni uomo e ogni donna si pone sulle questioni di genere“, generalizzando e attribuendo “caratteristiche, desideri, inclinazioni e comportamenti a donne e uomini, senza considerare la specificità e unità della persona“, facendo riferimento esclusivamente al genere di appartenenza (tratto da “Voci di Donna. Il complesso intreccio tra psicologia e femminismo, pag. 92).

 

Stereotipi di genere in ottica fenomenologica: la limitazione delle possibilità

 

Nell’ottica fenomenologica, l’identità di un individuo prende forma a partire dal mondo in cui esso vive, nel quale si dispiega la storia personale di ognuno di noi. Il contesto in cui viviamo costituisce una comune rete di rimandi, che permette di condividere il senso e il significato di ciò che accade nella quotidianità (Liccione, 2011). Il proprio senso di stabilità personale emerge dalla congruenza della propria esperienza con la narrazione che si fa di se stessi. L’identità personale, inoltre, è da vedersi in ottica temporale: si fonda sui nostri progetti di vita ed è tanto più stabile quanto ci progettiamo coerentemente con le nostre possibilità nel mondo.

In un mondo interpretato al maschile, in cui predominano gli stereotipi di genere, le donne esperiscono una contrazione delle proprie possibilità nel mondo, a seconda dei limiti imposti dalla cultura dominante.

La donna stessa, infatti, condivide (magari anche implicitamente) il contesto storico-culturale in cui è immersa, e potrà progettarsi solo alla luce delle aspettative legate al genere.

 

Ecco quindi perché nel 2020 abbiamo ancora bisogno dei movimenti femministi: per poter creare un mondo in cui le possibilità di vita di ognuno possano aprirsi senza limitazioni legate al genere di appartenenza.

 

 

Bibliografia 

Martini SA (Ed). (2020) Voci di donna. Il complesso intreccio tra psicologia e femminismo. Edizioni underground

Liccione, D. (2011). Psicoterapia cognitiva neuropsicologica. Bollati Boringhieri.

Ricoeur, P. (1988). Tempo e racconto (Vol. 165). Editoriale Jaca Book.

Ricoeur, P. (1993). Sé come un altro (Vol. 325). Editoriale Jaca Book.

Privacy Policy