Marketing e comunicazione digitale. Quali opportunità per gli psicologi?

Marketing e comunicazione digitale. Quali opportunità per gli psicologi?

La figura dello psicologo è trasversale a molti contesti in quanto focus del suo sapere è il comportamento umano. 

La psicologia del marketing, ad esempio, si concentra sullo studio dei comportamenti di consumo. La psicologia delle organizzazioni si occupa invece dell’analisi psicologica del comportamento degli individui e dei gruppi in relazione al funzionamento delle organizzazioni. 

Ecco come nell’ambito della comunicazione e del marketing  le competenze psicologiche siano molto ricercate perché in grado di dare una lettura più ampia ai processi in atto.

Come afferma il dottor Igor Graziato (psicoterapeuta consulente e formatore aziendale) lo psicologo, all’interno delle organizzazioni, è spesso un abile problem solver. Riesce infatti a risolvere determinati problemi perché in grado di comprendere e di avere una visione d’insieme delle caratteristiche formali e non di un determinato contesto.

 

Vediamo ora quali sono le nuove opportunità per gli psicologi

 

Ai settori tradizionali come la selezione del personale, la valutazione del potenziale delle risorse, la formazione delle soft skills, oggi gli psicologi possono aggiungere un nuova area d’intervento legata alla gestione delle nuove tecnologie. Più aumenta la componente tecnologica più diventa fondamentale il fattore umano, come sottolinea il dottor Graziato, durante il terzo talk di Nepsi. Gli psicologi possono essere protagonisti  della trasformazione digitale. Formandosi sulle nuove tecnologie possono offrire il loro supporto per una corretta gestione degli strumenti. Durante la pandemia, ad esempio, abbiamo avuto modo di cogliere come un eccesso di informazioni e di dati risultino confusivi. Sono dunque necessarie pianificazione e organizzazione per ottimizzare al meglio il rapporto tra uomo e macchina.

Le competenze dello psicologo possono adattarsi a molteplici contesti: oltre a quelli del marketing classico in cui tale figura può essere utile per comprendere e orientare le comunicazioni commerciali, anche i contesti di  marketing legati agli ambiti culturali, possono beneficiare della sua presenza.

Lo psicologo può fare molto in termini di comunicazione, basti pensare a quanto sarebbe stato prezioso il suo contributo nei primi momenti della pandemia quando, una comunicazione più mirata, avrebbe potuto evitare determinate polarizzazioni nei comportamenti delle persone. 

Pertanto lo psicologo che vuole ampliare i propri ambiti di intervento se sarà in grado di mantenersi al passo con le innovazioni tecnologiche, in un processo di continua formazione, potrà sperimentarsi in nuovi contesti di lavoro.

Dipendenze comportamentali e patologie emergenti

Dipendenze comportamentali e patologie emergenti

Tra le psico-patologie dei giorni nostri sono sempre più presenti le dipendenze senza sostanze.

A differenza delle classifiche dipendenze come quella da alcol, da cannabis, da oppiacei, qui l’oggetto della dipendenza è un comportamento, generalmente socialmente accettato. Si parla infatti di attività lecite come navigare su internet, fare shopping, lavorare, fare sport.

Valleur e Matysiak parlano di malattie emblema della postmodernità. L’uomo si è sentito sempre più disorientato all’interno di una cultura caratterizzata dell’estremo allargamento dei confini e da una sempre più crescente complessità sociale. Venendo a mancare dei solidi punti di riferimento, l’uomo postmoderno si autoinduce stati di trance che non sono altro che rifugi mentali, in cui vivere realtà parallele.

Generalmente questi comportamenti passano inosservati proprio perché vengono considerati “normali”; aspetto che porta a sottostimarne l’incidenza.

Come riconoscere una dipendenza comportamentale?

Una dipendenza comportamentale si definisce sulla base di precisi criteri:

  • La preminenza intesa come quel comportamento che tende ad assumere la maggiore rilevanza nella vita della persona, a discapito di altri pensieri, sentimenti e azioni;
  • L’influenza sul tono dell’umore che riguarda le conseguenze emotive del comportamento di dipendenza;
  • La tolleranza che riguarda l’intensificarsi del comportamento per indurre effetti sufficientemente intensi;
  • I sintomi da astinenza che riguardano gli stati d’animo o le conseguenze fisiche spiacevoli;
  • II conflitto interpersonale derivato dalla dipendenza instauratasi;
  • La recidiva che riguarda la presenza di ricadute plurime dopo le fasi di sospensione.

Che cosa accomuna una dipendenza comportamentale alle forme tipiche della dipendenza?

Le dipendenze comportamentali, così come quelle da sostanze, si caratterizzano per il fatto che l’individuo non possa fare a meno di qualcosa (sostanza) o perché gli venga impossibile rinunciare a qualcosa (comportamento) senza sperimentare un disagio.
Come nelle dipendenze da sostanze, all’inizio si crede di avere il controllo della situazione e di potersi fermare quando lo si vuole, solo successivamente ci si vede sopraffatti dall’oggetto della dipendenza.

Il mondo online

Il mondo online

Con l’avvento degli smartphone e lo sviluppo della tecnologia, il mondo online è diventato sempre più una costante nelle nostre vite. Negli ultimi mesi, poi, complice la necessità di distanziamento sociale, anche chi ancora era diffidente si è dovuto adattare e l’incontro online è diventata una costante nella quotidianità.

Si sono spostate online la scuola, le visite mediche, la psicoterapia, i convegni, le lezioni di yoga, i corsi di fitness, e chi più ne ha più ne metta. Ma se è vero che l’identità di un essere umano si costituisce nel mondo e nella relazione con l’altro, cosa accade se il mondo diventa il web e la relazione è mediata da uno schermo?

 

L’incontro online

 

In particolare, vogliamo porre l’attenzione a un aspetto fondamentale del nostro lavoro di psicologhe e psicoterapeute: l’incontro con la persona. Cosa cambia nell’incontro online, rispetto al classico colloquio in presenza?

In realtà, sono già parecchi anni che gli psicologi svolgono terapie online, addirittura negli anni 50 si era aperto un dibattito sull’efficacia della psicoanalisi telefonica! Appurato che la modalità a distanza esiste già da parecchio tempo, quello su cui dovremmo interrogarci è se qualcosa cambia nella relazione tra terapeuta e paziente.

Sebbene si possano ravvedere delle differenze, anche dovute alla mancanza effettiva di una corporeità, tra incontro online e offline, è sempre necessario calare la questione in un contesto e in un preciso momento storicamente situato.

Nella nostra ottica, di terapeute nate e cresciute in un mondo digitale, l’incontro online differisce davvero poco rispetto a quello in presenza: questo tipo di incontro fa parte da sempre della nostra vita. Nel momento in cui parliamo di relazione, però, bisogna considerare che si è sempre (almeno) in due e quindi non va mai trascurato l’effetto che questa modalità può avere sui nostri pazienti.

Per approfondire questo tema, vi lasciamo i link di due interviste a Paolo Migone e Giancarlo Dimaggio, pubblicate sul sito Psicologia Fenomenologica nel periodo di marzo-aprile.

👉 https://tinyurl.com/yxla22f6

👉 https://tinyurl.com/y3u8th7q

 

 

L’efficacia delle psicoterapie online

 

Uno dei dubbi più frequenti rispetto ai colloqui psicologici online è che non siano efficaci tanto quanto quelli resi di persona. Lo scetticismo nei confronti della modalità online appare ingiustificato alla luce della mole dei dati riguardo l’efficacia degli interventi mediati dalle nuove tecnologie prodotta dalla ricerca scientifica degli ultimi anni.

Una revisione di Andersson pubblicata nel 2016 sulla rivista Clinical Psychology Review ha raccolto i risultati degli ultimi 15 anni di ricerca sull’argomento. Gli interventi psicoterapici e psicologici condotti attraverso internet sono risultati essere efficaci per moltissime condizioni sintomatologiche e psichiatriche in oltre 100 studi randomizzati controllati.

Gli psicologi, quindi, dovrebbero cominciare a offrire più frequentemente questo tipo di servizi, poiché permettono l’accesso al trattamento a persone per cui sarebbe estremamente difficile venire in studio di persona. Pensiamo per esempio alle persone con disabilità motoria o alle persone che per lavoro viaggiano molto o sono costrette a trasferirsi o ancora a quelle persone che vivono in luoghi più isolati in cui c’è una ristretta offerta di servizi. La terapia o la consulenza online sono convenienti anche dal punto di vista economico sia per i pazienti che per il professionista data la riduzione di tempi e costi (meno spostamenti, meno costi di affitto degli studi e di conseguenza consulenze meno care).

 

 

La didattica a distanza (DAD)

 

Nel mese di marzo, improvvisamente le attività scolastiche si sono spostate online, attraverso la ormai famosissima didattica a distanza distanza, o DAD. Questo repentino cambiamento delle abitudini di migliaia di studenti, ha aperto anche la discussione su numerose preoccupazioni circa i possibili effetti negativi sull’apprendimento e sulla socializzazione del remote schooling.

Ad oggi, è passato ancora troppo tempo per poter determinare le conseguenze della didattica a distanza sull’apprendimento dei bambini e ragazzi, ma un’indagine condotta in molti paesi europei nelle scuole di primo e secondo grado ha mostrato che molti dei bambini e ragazzi coinvolti è riuscita a svolgere le lezioni online, interagendo con gli insegnanti o (anche se a livelli diversi) e che molti genitori hanno supportato i figli con attività didattiche aggiuntive.

In generale, la ricerca rileva una effettiva preoccupazione diffusa, soprattutto nei genitori, per gli effetti della pandemia sull’educazione. Un altro dato interessante che emerge da questo studio è la necessità espressa dalle famiglie di ricevere un. supporto psicologico per i propri figli.

 

 

Covid 19: la seconda ondata

Covid 19: la seconda ondata

Come da previsioni dei mesi scorsi, con l’arrivo  dell’autunno siamo entrati nella seconda ondata di Covid19.

Per capire come affrontarla, dobbiamo per prima cosa trovare il senso narrativo di quello che sta succedendo, calandolo nell’individualità di ognuno di noi. L’effetto della pandemia, infatti, non può essere comune per tutti e il significato di ciò che ci succede va rintracciato proprio nell’unicità di ognuno di noi, alla luce del nostro modo di fare esperienza, della nostra storia personale e dei progetti che a causa dell’emergenza abbiamo interrotto o abbiamo visto cambiare.

 

 

Il senso di sospensione

 

La sospensione in cui la pandemia ci ha catapultati ci ha costretti a sentirci, a metterci davanti a una serie di interrogativi sulla nostra vita, mettendo in discussione la nostra esistenza. In questo contesto, ansia e depressione (a quanto pare gli stati psicopatologici più comunemente osservati) assumono un significato differente, personale e in fin dei conti adattivo, in quanto strettamente associati a momenti di vita difficili. Ciò che sembra caratterizzare più nel profondo la sofferenza legata alla pandemia è proprio la messa in discussione la nostra identità, che non è più sorretta dalla frenesia quotidiana.

 

 

Pandemic Fatigue

 

A settembre 2020 l’Organizzazione Mondiale della Sanità ha osservato l’emergere graduale nella popolazione europea dei segni di uno stato di demotivazione rispetto ai comportamenti protettivi raccomandati. Questo stato è detto Pandemic Fatigue e sta incidendo su emozioni, #esperienze e #percezioni, oltre che portare a una scarsa efficacia delle restrizioni.

La Pandemic Fatigue è una risposta normale e prevedibile a una situazione prolungata di crisi sanitaria, quando le sue conseguenze incidono fortemente sulla vita quotidiana. Nella prima fase della crisi, infatti, la maggior parte delle persone ha adottato una serie di stati mentali e comportamenti per affrontare una situazione altamente stressante e di pericolo acuto, ma temporalmente limitata.

Nel momento in cui però la crisi si è prolungata, le prospettive sono cambiate e la demotivazione è il risultato. La minaccia percepita del virus è diminuita, in quanto ci siamo abituati alla sua presenza e nonostante il fatto che i dati epidemiologici non vanno in questa direzione. Nello stesso tempo, tale situazione fa percepire la mancanza di efficacia delle misure restrittive, che diventano un costo eccessivo rispetto al beneficio percepito. Inoltre, un incarnato impulso di autodeterminazione e libertà cresce se le restrizioni continuano per molto tempo.

È stato quindi pubblicato un documento di supporto (revisionato a novembre 2020) per la realizzazione di key strategies a livello nazionale e locale per mantenere e migliorare il pubblico supporto nella prevenzione del #covid19:

  • Comprendere le persone: raccogliere evidenze per strutturare politiche, interventi e comunicazione su misura
  • Permettere alle persone di vivere le proprie vite, ma riducendo i rischi: a lungo termine restrizioni ad ampio raggio non sono fattibili
  • Coinvolgere le persone come parte della soluzione: bisognerebbe trovare il modo di coinvolgere individui e comunità a tutti i livelli
  • Riconoscere e affrontare le difficoltà vissute dalle persone e il profondo impatto che la pandemia ha sulle loro vite.

 

Fonti

WHO, 2020, Pandemic fatigue Reinvigorating the public to prevent COVID-19, disponibile su https://tinyurl.com/y6o95kr9

Raffaele Vanacore, 2020, Vivere la seconda ondata, disponibile su https://www.psicologiafenomenologica.it/articolo/vivere-seconda-ondata/

 

L’attenzione: quando il filtro del cervello non funziona

L’attenzione: quando il filtro del cervello non funziona

L’attenzione è una delle abilità cognitive di base, senza la quale faremmo fatica a portare a termine anche le attività più semplici della vita quotidiana. Abbiamo sostanzialmente due canali attraverso cui prestare attenzione: gli occhi e le orecchie. L’attenzione filtra quello che vediamo e che sentiamo lasciando passare le informazioni rilevanti e ignorando quelle al momento inutili.

Le componenti dell’attenzione

 

L’attenzione può essere scomposta in diverse componenti:

  • attenzione divisa: entra in gioco quando stai facendo due cose contemporaneamente, come parlare mentre stai guidando
  • attenzione selettiva: è la capacità di selezionare, tra tante, le informazioni rilevanti tralasciando le altre. Se siete in un ambiente affollato e rumoroso ma state chiacchierando con qualcuno riuscite a concentrarvi solo su quello ignorando quello che viene detto dagli altri!
  • attenzione sostenuta: prestare attenzione a un’unica fonte di informazioni è una capacità fondamentale se stiamo seguendo una lezione a scuola!

 

Lo sviluppo dell’attenzione

 

L’adolescenza rappresenta un periodo di vita caratterizzato da profondi cambiamenti non solo a livello comportamentale, ma anche a livello cognitivo tanto che portano i ragazzi a raggiungere le modalità di pensiero, ragionamento e azione simili a quelle degli adulti.

In questo periodo della vita raggiunge, infatti, la completa maturazione un’area corticale particolare: la corteccia prefrontale. Si tratta del correlato neurale di diverse funzioni esecutive tra cui l’attenzione. Tali funzioni maturano lentamente durante l’infanzia e l’adolescenza e raggiungono livelli prestazionali analoghi a quelli adulti ad età diverse.

Verso i 14-15 anni alcune funzioni, come la capacità di inibire le risposte non pertinenti, hanno raggiunto la piena maturità funzionale, mentre altre come la capacità di pianificare vanno incontro ad ulteriori modificazioni fino alla giovane età adulta.

A livello comportamentale questa disparità di maturazione tra aree cerebrali e funzioni cognitive può riflettersi nel fatto che l’attivazione emotiva venga scarsamente controllata dalla cognizione. Questo disequilibrio è ritenuta una delle possibili cause dell’aumento della propensione al rischio in adolescenza.

 

L’attenzione sotto stress

 

“Ansia” è un termine comunemente usato per indicare una serie di reazioni fisiologiche, cognitive e comportamentali che si verificano in seguito alla percezione di uno stimolo ritenuto minaccioso.

L’ansia di per sé non è un fenomeno anormale, anzi ci prepara ad affrontare una data situazione aumentando il nostro stato di vigilanza e di attenzione sulle potenziali fonti di pericolo. Ci permette di focalizzare le risorse cognitive sulle azioni necessarie a prevenire, contenere o evitare situazioni potenzialmente spiacevoli o letali.

Se le cose stanno così allora qual è il problema di essere in ansia?

Accanto a quest’ansia fisiologica ne esiste anche una disfunzionale, di cui tutti prima o poi abbiamo fatto esperienza. Uno stato ansioso prolungato e in assenza di un reale pericolo ci mantiene in allerta continua e fa scattare campanelli d’allarme nel sistema attentivo che non è più sotto il nostro controllo volontario e fa fatica ad elaborare le informazioni.

In un certo senso l’ansia monopolizza le risorse cognitive che sono completamente assorbite dai segnali di allerta, la percezione che ne consegue è che il mondo sia pieno di difficoltà e pericoli di cui occuparsi! Stili di vita stressanti e periodi prolungati d’ansia hanno, quindi, un effetto negativo sulle nostre funzioni cognitive e fanno sì che sia molto più facile distrarsi, perdere la concentrazione e commettere errori!

 

Il neglect

 

Il neglect (o negligenza spaziale unilaterale) è stato descritto per la prima volta dal neurologo Russell Brain negli anni ’40 del secolo scorso.

Brain aveva osservato che i pazienti che avevano riportato delle lesioni al lobo parietale inferiore destro a causa di ictus, tumori o traumi avevano delle difficoltà a esplorare la porzione sinistra dello spazio o del loro stesso corpo.

Spesso questi pazienti non mangiano il cibo presente nella parte sinistra del piatto o non si radono la barba nella parte sinistra del viso. Tendono a perdersi nell’ambiente perché ignorano tutto quello che sta alla loro sinistra. La negligenza può riguardare particolari modalità sensoriali o tipi di stimolo, per esempio le parole. I pazienti con dislessia da negligenza non elaborano la parte sinistra della parola non riuscendo più, di conseguenza, a leggere.

È importante notare che non si tratta di deficit sensoriali o motori che riguardano il lato sinistro del corpo e dello spazio, cioè questi pazienti ci vedono e ci sentono benissimo e sono in grado di eseguire delle azioni verso quella parte di spazio. Sembra proprio che il neglect sia dovuto a un’incapacità di orientare attivamente l’attenzione verso lo spazio dal lato opposto a quello della lesione cerebrale.

Queste evidenza cliniche implicano che il lobo parietale destro sia particolarmente implicato nel controllo attentivo; lesioni simili del lobo parietale sinistro, infatti, non causano neglect analogo a destra. La causa più comune di negligenza spaziale unilaterale è l’ictus cerebrale e i deficit di attenzione sono evidenti fin da subito: di solito gli effetti tendono a risolversi in poche settimane o mesi ma nel caso di lesioni estese è importante impostare fin da subito un buon programma riabilitativo per facilitare il recupero!

 

L’ADHD

 

L’ADHD è un disturbo che esordisce durante il periodo dello sviluppo e sarebbe presente nel 5% circa dei bambini e nel 2.5% circa degli adulti. Si caratterizza per la presenza di un quadro di disattenzione e/o iperattività e impulsività che interferiscono con lo sviluppo e il funzionamento.

I bambini fanno estremamente fatica a rimanere concentrati su un compito, mancano di perseverazione, si distraggono con estrema facilità e non riescono ad organizzare il loro lavoro.

L’impulsività si manifesta attraverso comportamenti invadenti o la presa di decisioni importanti senza aver prima riflettuto sulle conseguenze a lungo termine. L’iperattività si riferisce a un’eccessiva attività motoria dei bambini: non riescono a stare fermi, tamburellano, sono particolarmente loquaci in momenti in cui questi comportamenti non sono appropriati.

Queste manifestazioni comportamentali devono presentarsi in più contesti, cioè non basta che i bambini siano irrequieti a scuola o quando si annoiano ma devono mostrare costanza nei sintomi in occasioni diverse.

L’ADHD, oltre a rappresentare un problema per il bambino stesso, costituisce una vera e propria sfida per la famiglia e la scuola. I genitori e gli insegnati spesso sono sono sconfortati e stressati perché impreparati nella gestione di questo tipo di comportamenti. Per questi motivi l’intervento deve sempre essere di tipo multimodale, deve cioè coinvolgere la scuola, la famiglia e il bambino stesso attraverso programmi psicoeducativi e terapeutici ad hoc per le singole situazioni.

 

Disturbo cognitivo lieve: quando il deficit è nell’attenzione

 

Nell’immaginario comune, quando si parla di demenza di pensa alla demenza di tipo Alzheimer dove la perdita della memoria è la preoccupazione maggiore.

In realtà, così come esistono diverse forme di demenza che coinvolgono domini cognitivi diversi, esistono altresì dei quadri clinici di transizione tra il normale invecchiamento e demenza: il decadimento cognitivo lieve (o mild cognitive impairment, MCI). Le persone con MCI hanno delle prestazioni ai test cognitivi più basse di quello che si aspetterebbe in base all’età e alla scolarizzazione, ma non così basse da interferire con le attività quotidiane.

Esiste, quindi, la possibilità che una persona possa cominciare a manifestare, per esempio, solo dei disturbi di natura attentiva in assenza di altri deficit: fa fatica a stare concentrato per tanto tempo, svolgere due compiti contemporaneamente diventa più impegnativo così come dedicarsi a una conversazione se contemporaneamente la tv è accesa.

È importante sottolineare che non tutte le persone a cui viene diagnosticato un MCI andranno incontro allo destino. In alcuni casi, i sintomi si mantengono stabili nel tempo, in altri, il deficit migliora o addirittura può regredire. Per questo è importante rivolgersi in caso di dubbi al proprio medico e sottoporsi a una valutazione neuropsicologica completa.

I supergustatori. Gli ultra sensibili al gusto

I supergustatori. Gli ultra sensibili al gusto

Il gusto è estremamente importante nel guidarci nella scelta degli alimenti. Ci aiuta infatti a scartare quelli che possono essere tossici e a preferire quelli che contengono sostanze ricche di nutrienti. 

E’ credenza comune che il senso del gusto sia un prodotto delle nostre esperienze e della nostra cultura, ma in realtà la genetica ha un peso considerevole. 

Tra di noi vi sono infatti dei super-gustatori, ovvero quelle persone in grado di riconoscere ogni sfumatura, e dei non-gustatori che al contrario faticano a cogliere le sfumature dei sapori. La maggior parte delle persone si divide tra cattivi gustatori e normali gustatori ma esiste l’1% della popolazione che appartiene alla categoria dei super-gustatori. 

 

Chi è un super gustatore?

Tendenzialmente sono donne europee. Ciò che contraddistingue un super gustatore è il numero di papille gustative nella misura di >30 per 100mm quadrati rispetto ai < 15 dei cattivi gustatori. Sono persone la cui percezione del gusto è così affinata che a volte faticano a mangiare cibi che in generale piacciono. Generalmente non amano sapori troppo intensi come quelli proposti dai fast food a differenza dei cattivi gustatori che prediligono gusti forti, speziati presenti spesso in cibi altamente calorici. Inoltre i super-gustatori sono coloro che notano anche minime differenze di sapore tra due alimenti o anche (cosa fondamentale nell’antichità) un piccolo cambiamento nel sapore di un cibo. Al tempo saper cogliere queste differenze era fondamentale per la sopravvivenza. Un gusto dolce indicava ed indica tuttora cibi ricchi di carboidrati e quindi ricchi di energia, il gusto salato segnalava la presenza di sale, permettendo quindi di regolarne l’assunzione in base alle effettive necessità. Al contrario il gusto acido e quello amaro mettevano in guardia nei confronti di alimenti andati a male o contenenti sostanze velenose.  

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