Neonati pretermine. Quali sono gli effetti della musica?

Neonati pretermine. Quali sono gli effetti della musica?

E’ risaputo che la musica faccia bene ma quello che un gruppo di studiosi sono stati in grado di dimostrare scientificamente è che faccia particolarmente bene a livello cerebrale ai neonati pretermine.

Numerosi studi in passato hanno preso in considerazione gli effetti dell’ascolto della musica sui neonati pretermine e hanno mostrato effetti stabilizzanti sui seguenti aspetti:

  • frequenza cardiaca e respiratoria;
  • riduzione del numero di eventi di apnea e bradicardici al giorno; 
  • miglioramento del dispendio energetico a riposo;
  • miglioramento dell’alimentazione e aumento di peso;
  • modelli di sonno più maturi. 

La maggior parte di questi studi riporta un effetto benefico su almeno uno di questi aspetti. Tuttavia, questi studi hanno prodotto risultati un pò equivoci. I fattori che contribuiscono a queste variazioni sono il tipo di musica utilizzata (strumento, live o registrato), la durata dell’esposizione (spesso della durata di pochi giorni), varie età gestazionali alla nascita e al momento dell’intervento e diverse misure di esito (osservazione essenzialmente comportamentale, variabilità della frequenza cardiaca). 

Pertanto quello che gli studiosi di questa ricerca hanno voluto fare, e che non era ancora stato analizzato, è lo studio degli effetti di un intervento musicale sullo sviluppo della rete cerebrale.

L’importanza della musica per i neonati

l cervello umano è sia cablato sulle abilità musicali innate che modellato dall’esperienza musicale, a partire dall’utero e continuando per tutta la durata della vita. Un crescente corpus di letteratura (la musicoterapia, la cognizione musicale, la musicologia, le neuroscienze e le scienze affettive e comportamentali) si rivolge alla vita fetale e neonatale, facendo luce sullo sviluppo precoce della percezione del suono e della musica. L’elaborazione della musica a livello neurale coinvolge una rete bilaterale estremamente complessa e diffusa di aree corticali e subcorticali che integrano diverse funzioni uditive, cognitive, motorie sensoriali ed emotive. Sebbene parte del meccanismo alla base dell’elaborazione della musica possa essere spiegato come una semplice elaborazione del suono, la percezione della musica è più della somma delle sue caratteristiche acustiche di base. Oltre alla trasduzione del segnale uditivo, innesca una sequenza di processi cognitivi, motori ed emotivi che coinvolgono un certo numero di aree cerebrali. 

Presso l’ospedale di Ginevra è stata allestita  un’unità di terapia intensiva neonatale in modo tale da poter applicare un arricchimento ambientale, tramite la musica, per i neonati pretermine.

Tuttavia fino a questo studio non era stata riportata alcuna prova di un effetto della musica sullo sviluppo del cervello pretermine. Usando la risonanza magnetica allo stato di riposo (in assenza di stimoli), i ricercatori hanno considerato come regione di interesse per il loro studio una zona costituita da tre moduli interconnessi attraverso un network coinvolto nel rilevamento e nel filtraggio di stimoli salienti: il “Salience Network” (SN). Questo network è tipicamente  implicato in compiti attentivi, motivazionali ed esecutivi. 

Che cosa accade alla corteccia nei neonati pretermine? 

Durante la prima vita postnatale, l’ambiente dei neonati prematuri, ovvero la terapia intensiva neonatale, è molto diverso da quello dei neonati a termine ancora in utero. Le sollecitazioni e gli stimoli sensoriali sono molto diversi. Nello specifico  la corteccia immatura dei neonati pretermine è esposta a stimoli estrinseci e potenzialmente stressanti prima del tempo normale e questa condizione è stata associata ad una alterazione di microstrutture cerebrali. I dati di questo studio forniscono prove che l’alterazione tipica del Salience Network nei bambini prematuri non sia solo a livello dei lobi temporali ma che sia più estesa coinvolgendo zone implicate nell’elaborazione sensoriale e regioni implicate nel generare risposte comportamentali appropriate a questi stimoli. Nello specifico il Salience Network  nei neonati prematuri è risultato connesso con l’area frontale superiore, con quella uditiva, con quella dell’area sensomotoria, con il talamo e con il precuneus.

È interessante notare che i neonati pretermine esposti alla musica nell’unità di terapia intensiva neonatale hanno visto un aumento significativo delle connessioni tra  quelle reti cerebrali che erano risultate precedentemente ridotte. Pertanto, l’esposizione musicale porta ad architetture cerebrali funzionali che sono più simili a quelle dei neonati a termine. Tali risultati forniscono prove di un effetto  benefico della musica sul cervello pretermine.

 

Lordier L. et al. Music in premature infants enhances high-level cognitive brain networks. PNAS June 11, 2019 116 (24) 12103-12108

Chorna O. et al. Neuroprocessing Mechanisms of Music during Fetal and Neonatal Development: A Role in Neuroplasticity and Neurodevelopment. (2019). Neural Plasticity doi.org/10.1155/2019/3972918 

Amusia e cervello. Quando la musica non è un piacere

Amusia e cervello. Quando la musica non è un piacere

Se la maggior parte delle persone, compresi i bambini, apprezzano la musica e ne traggono piacere, esiste una parte della popolazione (circa l’1,5%) che non mostra alcun interesse per la musica.

A riguardo, a partire dagli anni 80 la neuropsicologia della musica si è sviluppata e si è concentra, fin da subito, su disturbi neurologici musicali descritti come amusie. 

Quali tipologie di amusia conosciamo?

 

L’ a-musia può essere congenita o acquisita. 

Quella acquisita, in assenza di alterazioni della percezione uditiva elementare o di turbe intellettive e linguistiche, implica delle difficoltà di comprendere, eseguire ed apprezzare la musica. A sua volta viene distinta in due componenti :

  • Espressiva: perdita della capacità di esprimersi musicalmente;
  • Recettiva: perdita della capacità di ricordare e riconoscere le melodie.

Non stiamo parlando di persone stonate. Queste ultime infatti non sono capaci di emettere note nel modo adeguato, spesso per motivi di mancanza di tecnica e non per amusia. Un “amusico” invece non è in grado di comprendere l’altezza delle note, né di distinguere una melodia da un’altra. Sono persone che mostrano grandi difficoltà nel seguire un ritmo e percepiscono sia la voce che la musica come monotonali.Talvolta gli amusici, nei casi più gravi, non sono capaci di sentire la musica o di distinguere una cantilena da un motivo famoso. Spesso arrivano addirittura a percepire la musica come irritante e sgradevole. 

L’amusia congenita invece consiste in un deficit nell’elaborazione musicale.  Le persone con questa patologia non sono in grado di elaborare l’altezza dei suoni. Ma cosa avviene nel cervello di chi ha un’amusia congenita?

Sono state fatte molte ricerche sui correlati neurali dell’amusia congenita (Peretz, 2008). Il problema sembra essere riconducibile ad un deficit funzionale del sistema fronto temporale destro, in cui la sostanza bianca, a livello del fascicolo arcuato destro, risulta ridotta.(Peretz, 2016).

Le difficoltà che si riscontrano in un amusico congenito riguardano un’incapacità di comprendere se chi sta cantando sia intonato o meno oppure si riferiscono ad una difficoltà nel riconoscere e cantare una melodia familiare senza l’aiuto delle parole. Più specificatamente l’amusia congenita consiste in un disturbo che impedisce di individuare deviazioni di altezza inferiori a due semitoni. Cionostante il cervello delle persone amusiche risponde ai cambiamenti di altezza, ma questo non dà luogo a nessun resoconto cosciente da parte dell’individuo. 

Lo studio dell’amusia si dimostra interessante in quando indaga fino a che punto un’anomalia di connessione fra due sistemi integri dia luogo ad un disturbo di percezione, produzione e apprezzamento della musica. 

 

Peretz I. e Duvan D. Prevalence of congenital amusia. (2016). BioRxiv, doi.org/10.1101/070961

Demenza: un termine ombrello

Demenza: un termine ombrello

Quando si parla di demenze, spesso ci si riferisce a questa parola come a un “termine ombrello”.

Questo modo di dire significa che sotto il significato di questa parola sono racchiusi molteplici significati e numerosissime sfaccettature, che fanno riferimento alle tante categorie diagnostiche specifiche.

 

Demenza

 

La parola demenza indica una costellazione di sintomi cognitivi e comportamentali che:

  • interferiscono con il funzionamento lavorativo o quotidiano
  • rappresentano un declino rispetto al precedente livello della persona
  • non sono spiegabili con disturbi psichiatrici/delirium

 

I deficit coinvolgono almeno 2 domini cognitivi tra:

    • Memoria
    • Ragionamento, giudizio
    • Abilità visus-spaziali
    • Linguaggio
    • Cambiamenti comportamentali

 

I sintomi delle malattie neurodegenerative, inoltre, peggiorano progressivamente nel tempo.

 

Le sfumature diagnostiche

 

A seconda di quelle che sono le aree cerebrali principalmente implicate e delle funzioni cognitive coinvolte, sono molteplici le forme di demenza che possono essere diagnosticate.

La principale e più conosciuta è la Malattia di Alzheimer, che coinvolge principalmente il dominio mnesico, ma esistono anche la Demenza Fronto-Temporale, la Demenza ai Corpi di Lewy, la Demenza Vascolare, l’Afasia Progressiva Primaria, la Demenza Semantica, e tantissime altre sintomatologie meno conosciute.

 

 

Come distinguerle?

 

Per poter adeguatamente diagnosticare una delle tante patologie neurodegenrative è necessario sottoporsi a un iter diagnostico che prevede almeno una visita neurologica, un approfondimento neuroradiologico (TAC o risonanza magnetica) e una approfondiva valutazione neuropsicologica, dove uno psicologo farà eseguire alla persona una serie di test standardizzati per la misurazione del funzionamento delle abilità cognitive.

Attualmente, molte persone con decadimento cognitivo rimangono senza una diagnosi formale, e addirittura 3/4 arrivano alla diagnosi in una fase già molto avanzata. Questo crea numerose problematiche a livello di assistenza alla persona e alla famiglia.

Legge 3/2012 e Covid-19: perché nessuno parla della legge antisuicidio?

Legge 3/2012 e Covid-19: perché nessuno parla della legge antisuicidio?

Le difficoltà finanziare possono condurre a una totale perdita di speranza, ma con le giuste soluzioni economiche e psicologiche pre prevenire il suicidio è possibile risollevarsi.

 

Nel periodo dal 2012 al 2018, in Italia ci sono stati 937 suicidi per motivazioni economiche, oltre a 661 tentati suicidi. Un totale di 1598 persone che hanno pensato di non avere più speranza di risollevare la propria situazione finanziaria (dati tratti dall’Osservatorio “Suicidi per motivazioni economiche”, coordinato dalla Link Campus University).

Eppure, in Italia dal 2012 vige una la legge n. 3/2012, detta appunto “legge antisuicidio”, che nasce in seguito alle tristi conseguenze della crisi finanziaria del 2008-2010, in cui già si erano osservati numerosi suicidi per motivazioni economiche.

Purtroppo tali misure non sono abbastanza conosciute tra la popolazione, e molte persone che si trovano in difficoltà non sono a conoscenza della possibilità di applicare le giuste soluzioni economiche e psicologiche per prevenire i suicidi e uscire dallo stato di crisi.

In che cosa consiste la legge antisuicidio? Perché è così importante conoscerla? E perché ne parliamo in un blog di psicologia?

 

La legge antisuicidio

 

 

L’obiettivo della legge antisuicidio (e delle successive modifiche) è creare le condizioni affinché cittadini, negozianti, piccoli imprenditori, liberi professionisti ecc., abbiano la possibilità di uscire da una situazione di blocco finanziario, risolvendo il proprio stato di crisi o di insolvenza, chiamato in termini tecnici sovraindebitamento.

Per sovraindebitamento si intende la situazione di chi è impossibilitato a sostenere i propri impegni economici e a rimborsare finanziamenti o altri debiti. Esso può derivare dall’eccessivo ricorso alla rateizzazione degli acquisti, oppure da imprevisti dovuti alle condizioni del mercato globale, di salute, familiari (Camera di Commercio odi Milano).

Le procedure previste dalla legge antisuicidio, oltre a essere fondamentali per il risanamento economico, hanno una grandissima valenza sociale, in quanto sono dirette a chi non avrebbe la possibilità di accedere alle classiche misure (per es. fallimento, concordato preventivo, ecc.), permettendo loro di risanare la propria situazione economica e riacquistare un ruolo attivo nell’economia.

L’importanza di questa legge consiste proprio nel fatto di non essere rivolta a grandi società, ma ai cittadini comuni e ai lavoratori autonomi (piccoli imprenditori e liberi professionisti) che si trovano in situazioni di difficoltà finanziaria.

 

 

Crisi economiche: le conseguenze psicosociali

 

 

La crisi, denominata Grande Recessione, che ha colpito l’economia americana ed europea a partire dal 2007 è stata la peggiore crisi economica globale dopo la Grande Depressione del 1929 (Mattei et al., 2019).

Come abbiamo detto sopra, tra il 2012 e il 2018 l’Osservatorio Suicidi per motivazioni economiche ha rilevato 1598 casi di suicidi o tentati suicidi. L’Osservatorio sottolinea come le caratteristiche del fenomeno siano mutate negli anni, coinvolgendo fasce differenti di popolazione e in particolare coinvolgendo sempre più persone disoccupate o soggetti che pur avendo un lavoro soffrono per precarietà e instabilità lavorativa ed economica. Inoltre, i dati mostrano un aumento anche degli anziani, che non riescono fronteggiare le spese quotidiane con la pensione.

Sono stati quindi analizzati gli effetti della situazione economica sulla salute, rilevando come non sia la crisi di per sé a produrre uno stato di fragilità psicologica e sociale, ma la carenza di un sistema di welfare in grado di farvi fronte, e in particolare le scelte governative mirate all’austerity al posto dell’implemento di programmi attivi per il mercato del lavoro (Stuckler & Basu, 2013).

Alcuni studi mostrano come in particolare in Italia, la crisi economica abbia aumentato le problematiche di salute quali i disturbi ischemici cardiologici, la mortalità per problematiche cardiovascolari, il consumo di nicotina. Inoltre si è registrato un maggior consumo di farmaci più economici e un aumento del comportamento di binge drinking, accompagnato dall’utilizzo di alcolici più scadenti (Mattei et al., 2019).

 

 

E quali saranno le conseguenze del lockdown?

 

Il lockdown presumibilmente avrà delle conseguenze economiche addirittura peggiori rispetto alla Grande Recessione, almeno secondo le previsioni del Fondo Monetario Internazionale.

In particolare, molti tra attività medio-piccole e lavoratori rischiano di perdere il lavoro, o comunque di registrare una forte contrazione delle proprie entrate economiche, a fronte di spese rimaste immutate. Oltre alle conseguenze psicologiche derivanti dal prolungato isolamento sociale, molto probabilmente ci troveremo a fronteggiare difficoltà emotive legate alla perdita o alla dimunuzione del lavoro. 

Abbiamo già parlato dei risvolti della disoccupazione, che includono conseguenze a livello professionale, sociale e personale. Nella nostra società, infatti, il lavoro non è soltanto un’occupazione, ma spesso contribuisce a plasmare la nostra identità, a definirci come persone. Se il lavoro va male, quindi, andremo incontro a sperimentare un evento di vita stressante, dovuto alla perdita non solo del nostro sostentamento, ma anche dei benefici ad esso connessi, quali autostima, status sociale e contatti interpersonali.

Oltre alla perdita vera e propria del lavoro, però, la chiusura globale che ci troviamo ad affrontare potrebbe avere come risvolto una contrazione delle entrate economiche di piccoli commercianti e imprese, ma anche di cittadini comuni.

Questo stato di cose, può innescare un circolo vizioso per il quale l’individuo, nel tentativo di salvaguardare il proprio status socio-economico (e quindi in qualche modo la propria identità), contrae sempre più debiti dovuti per esempio ad acquisti ottenuti con rateizzazione e finanziamenti, fino a non riuscire più a sostenerli economicamente, ritrovandosi nello stato di sovraindebitamento descritto sopra. In queste situazioni, possono emergere dei veri e propri stati depressivi, accompagnati dalla sensazione di essere senza via d’uscita. Nei casi più gravi, si può arrivare a pensare che l’unica via d’uscita sia la morte.

 

La via d’uscita c’è

 

L’obiettivo che perseguiamo con il nostro lavoro, è mostrare alle persone che una via d’uscita ci può essere!

Le problematiche di cui vi abbiamo parlato in questo articolo costituiscono un complesso fenomeno psico-economico, a cui far fronte è molto complicato.

Non possiamo sapere con certezza (anche se purtroppo le probabilità sono molto alte) se l’emergenza sanitaria attuale si tradurrà in una recessione economica. Crediamo fermamente, però, che per ottenere dei buoni risultati, sia necessario agire d’anticipo, al fine di contrastare gli eventuali effetti negativi e soprattutto di avvalersi di professionisti esperti del settore.

.

E il lavoro più efficace che possiamo attuare in questo momento è un lavoro multidisciplinare, che coinvolga esperti del mondo “psi” ed esperti del mondo economico, impostando soluzioni economiche e psicologiche per prevenire i suicidi legati alle motivazioni economiche.

Per questo, il team di NEPSI, in collaborazione con Tiziana Corsi, Dott.ssa Commercialista esperta in procedure fallimentari, ha inaugurato un progetto appositamente studiato per le persone che stanno affrontando una situazione complessa dal punto di vista economico e psicologico, al fine di trovare soluzioni economiche e psicologiche per prevenire i suicidi.

Per informazioni sul progetto di Psicoeconomia clicca qui.

La donna oggetto nella rappresentazione dei media

La donna oggetto nella rappresentazione dei media

L’oggettivazione sessuale è la valutazione di un individuo solo per la sua funzione sessuale, rappresentandone solo le parti del corpo tipicamente erotiche: glutei, seno, inguine.

Nei media, essa è presente ogniqualvolta una donna viene rappresentata in modi erotici vicino agli oggetti da pubblicizzare: per esempio una ragazza semi-nuda e in pose sensuali che indossa un orologio, un gioiello o una automobile.

L’Italia ricopre un triste primato, in quanto è una delle nazioni in cui la pubblicità è più sessiste al mondo: le donne vengono spesso rappresentate come sessualmente disponibili.

 

 

Conseguenze dell’oggettivazione sessuale

 

È un problema se una donna vuole mostrarsi in modo erotico? Assolutamente no!

ll problema emerge nel momento in cui i media fornisco quasi esclusivamente questo modello di donna: nel 2006 il 53% delle donne era muta, il 46% associata a temi inerenti il sesso, la moda la bellezza, solo il 2% a temi sociali o professionali.

Queste rappresentazioni, veicolando significati sociali, concorrono al rafforzamento degli stereotipi di genere, che sono già enormemente radicati nella nostra cultura. Tali immagini danneggiano sia le donne (e bambine) sia gli uomini, in quanto contribuiscono a peggiorare i rapporti tra i generi.

 

 

Adolescenza: la costruzione dell’identità

 

L’adolescenza è un periodo della vita in cui l’influenza dei modelli imposti dalla società e dal gruppo dei pari è molto forte. È il momento di passaggio in cui le ragazze passano dall’infanzia alla vita adulta, strutturando la propria personalità e la propria identità

È facile capire come una rappresentazione femminile di questo genere, in una società in cui l’educazione di genere è già di per sé molto carente, possa contribuire alla diffusione di un modello di donna-oggetto: questo si traduce da parte dei compagni maschi, alla valutazione della donna prevalentemente sulla base degli attributi fisico-sessuali; a livello soggettivo, invece, le ragazze impareranno a vedere se stesse come oggetti, valutandosi attraverso il desiderio suscitato.

La mancata corrispondenza a questi stereotipi femminili, inoltre, porta a sperimentare una sensazione di inadeguatezza tale da causare un peggioramento del benessere psico-fisico.

 

Bibliografia

 

Martini SA (Ed). (2020) Voci di donna. Il complesso intreccio tra psicologia e femminismo. Edizioni underground

Donne e lavoro tra limitazioni e opportunità mancate

Donne e lavoro tra limitazioni e opportunità mancate

Gli stereotipi di genere che caratterizzano il nostro contesto sociale e culturale pongono delle grandi limitazioni alle donne per quanto riguarda lo sviluppo di obiettivi lavorativi coerenti con la loro preparazione.

Come si manifestano queste limitazioni?

Si è sempre libere di scegliere di stare a casa ad accudire i propri figli?

In ambiente di lavoro come vengono percepite le donne in alte posizioni?

 

Maternità e lavoro

 

Secondo un Rapporto Istat sulla conciliazione tra lavoro e famiglia, nella fascia d’età tra i 18 e i 64 anni sono oltre 10 milioni i genitori con figli minori di 15 anni e la responsabilità della loro cura grava nella maggior parte dei casi sulle donne, che risultano penalizzate nel mondo del lavoro.

Il tasso di occupazione delle madri è, infatti, molto inferiore sia rispetto a quello dei padri, soprattutto se i bambini hanno meno di 6 anni, sia rispetto a quello delle donne senza figli. Le differenze tra donne che lavorano sono molto accentuate a livello territoriale: nel sud italia sono molte di più le donne inoccupate. Anche il titolo di studio è una variabile importante, in quanto tra le madri laureate l’80% lavora, a fronte del 34% tra le donne con la licenza media. Il divario con le donne senza figli scende da 21 punti percentuali se il titolo di studio è basso a 3,7 punti se pari o superiore alla laurea.

Nel momento in cui si hanno dei figli, i cambiamenti nell’attività lavorativa riguardano quasi esclusivamente le madri, di cui il 50% interrompe la propria attività. Nel momento in cui invece riprendono a lavorare, moltissime riferiscono difficoltà nel conciliare l’accudimento dei figli, soprattutto se piccoli, con gli orari lavorativi. A questo consegue una rimodulazione del lavoro, (che riguarda il 38 3 % delle madri a fronte dell’11,% dei padri) che consiste nella diminuzione o del cambiamento delle ore.

 

Gli stereotipi di genere, che spesso agiscono implicitamente, conducono le famiglie (e le donne stesse) a creare la narrazione di se stesse come prevalentemente donne-madri, unico ruolo che le renderebbe complete nella propria identità.

 

La leadership è donna?

Le donne fanno molta fatica ad affermarsi ad alti livelli lavorativi, tanto che è stato coniato il termine leadership labyrinth per indicare il tortuoso percorso che devono affrontare per arrivare in posizioni  di responsabilità.

Se abbiamo chiarito che non esistono differente cognitive e innate, come mai avviene questo?

Anche nel momento in cui una donna riesca ad affermarsi in una buona posizione lavorativa, è difficile per gli altri riconoscerle come leader, proprio perché il “ruolo di leader” e il “ruolo di donna” corrispondono a stereotipi molto diversi tra loro nell’immaginario comune.

La continua adesione al modello che gli altri e il mondo hanno scritto per noi, può addirittura condurre a vivere delle esperienza di vita in cui non siamo i protagonisti del racconto, ma solo i personaggi, con conseguente perdita dell’autenticità della propria esperienza. Il problema emerge soprattutto quando l’adesione alla strada tracciata da altri diventa fondamentale per il mantenimento del nostro senso di stabilità personale, per sentirci noi stessi.

 

Privacy Policy